MANIFESTO CONTRO L'EDITORIA   MANIFESTO CONTRO L'EDITORIA   MANIFESTO CONTRO L'EDITORIA  

O del perché abbiamo detto addio al mondo

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Entrare in libreria, oggigiorno, sembra un atto rivoluzionario. Che sia di catena o indipendente. Passeggiamo tra gli scaffali come gli ultimi superstiti di un mondo in via di estinzione, ultimi rappresentanti di quella fetta di umanità che non ha ceduto alle lusinghe di Amazon, alla celerità dei suoi corrieri e dei codici di tracking elargiti per monitorare psicopatologicamente lo stato di avanzamento del nostro ordine, dall'imballaggio alla consegna, con l'illusione di avere la nostra vita sotto controllo. Ci atteggiamo a custodi illibati di una moralità superiore, in accordo con lo “slow living” e la circolarità dell'economia di quartiere, che crediamo in questo modo di foraggiare. Ci sentiamo meglio, ad andare in libreria, dal vivo, per davvero, per i più svariati motivi.

La realtà, però, è un'altra. Che si compri su Amazon o Ibs, oppure nelle librerie di catena come Feltrinelli, Mondadori, Libraccio, o persino nella piccola libreria sotto casa, la realtà, dicevamo, è che siamo complici di un sistema perverso. Perché? Perché per stare in libreria, agli editori, è richiesto un vero e proprio tributo. Fare in modo che il proprio catalogo approdi sugli scaffali delle Mondadori o della libreria indipendente, necessita di un accordo con un distributore. Le librerie di catena, che rappresentano la fetta maggiore del mercato, non accettano rapporti diretti. In Italia, di distributori, ce ne sono diversi, ma quelli che offrono una copertura geografica estesa a tutto il territorio nazionale e distribuiscono editori terzi oltre a quelli appartenenti al proprio gruppo (come fanno per esempio Mondadori e Giunti) sono soltanto due. Messaggerie (o Meli), il colosso di proprietà del Gruppo Mauri-Spagnol (proprietario di oltre 20 case editrici), è praticamente il padrone del mercato, con 600 editori a contratto (da Adelphi a Marsilio, da Minimum Fax a La Nave di Teseo, e GOG fino a qualche mese fa) e 4mila punti vendita raggiunti. Questi editori sono vincolati a cedere i libri solo ed esclusivamente a Messaggerie, che si occupa di distribuirli lungo tutta la filiera (librerie di catena, indipendenti, store online). Il secondo distributore italiano invece è A.L.I., più “fresco”, nato con velleità indipendentiste prima di essere acquisito al 75% dal Gruppo Mondadori. Tra gli editori distribuiti, una quarantina in tutto, troviamo le Edizioni E/O, Iperborea, Marcos y Marcos, edizioni Sur, ADD editore.

Un editore che voglia fare questo mestiere sa che l'unico modo per avere un briciolo di visibilità e vendere qualche copia, è quello di riuscire ad arrivare in libreria. Per farlo, quindi, deve avvalersi del famigerato distributore, un'azienda di logistica che non ha nulla a che vedere con l'editoria. Quando si è dei piccoli editori, il contratto che Messaggerie propone (non tanto diverso da quello di A.L.I.) è raccapricciante. Il distributore chiede all'editore di lasciargli il 60% sul prezzo di copertina. A questo si aggiunge la percentuale che va al promotore, un intermediario senza il quale non è possibile stipulare accordi con Meli, e che a sua volta trattiene l'8% sul venduto (+ Iva). Il promotore mette a disposizione dell'editore la sua rete di agenti più o meno preparati che si aggirano con dei faldoni di cedole editoriali per tutte le librerie che hanno un accordo con Meli, tentando di convincere il libraio a prendere i libri dei suoi editori. Il libraio, sommerso da un'infinità di schede, giustamente attinge ai soliti libri noti, quelli già venduti, quelli già piazzati, e poi pesca qui e là da qualche editore minore, se gli rimane spazio. Un editore, per potersi compiacere a cena con gli amici e dire che i suoi libri sono sugli scaffali della Feltrinelli, quando gli va bene e i librai si accorgono del suo catalogo, deve cedere il 68% del venduto a questi signori qui. Questo vuol dire che, se si aggiunge un prezzo di stampa (tra costi tipografici e di spedizione) del 20%, all'editore rimane il 12%. Se consideriamo che l'8% in genere viene corrisposto all'autore, l'editore vede solo il 4%. Praticamente è un patto con la morte, è eutanasia, suicidio assistito, anzi indotto. Senza considerare che il distributore paga il venduto a 6 mesi. 6 mesi. 182 giorni. E quello che non vende? Te lo rispedisce indietro. Senza pagarlo. Si chiama “reso”.

Una marea di editori hanno dichiarato bancarotta a causa del reso. Perché Meli a 6 mesi ti paga i libri che ti chiede, ma se dopo un anno quei libri non li ha venduti, ecco il reso, tipo boomerang, che ti colpisce tra capo e collo, e ti arriva una controfattura alla tua fattura, e lì sei fottuto. Tipo stregoneria, ma ha un nome preciso, si chiama conto deposito, una delle invenzioni che ha mandato all'aria il sistema editoriale. Praticamente funziona che tu non vendi al distributore i tuoi libri, ma glieli lasci in conto deposito: ossia lui ti anticipa i soldi dei libri che ordina (anche se un anticipo a 182 giorni non si è mai sentito), ma poi te li richiede indietro se non li ha venduti. Come se il proprietario di un bar a fine giornata torna dal panettiere a riportargli il pane dei tramezzini che gli sono rimasti in frigo chiedendo un risarcimento.

A grandi linee questo è il modo in cui funziona il nostro mercato editoriale. Che fare, dunque? Annosa questione. Queste sono tutte le possibili soluzioni che ci sono venute in mente.
01 Cambiare mestiere.
02 Essere miliardari e dilapidare il proprio patrimonio immobiliare, pubblicando ciò che più si ama senza badare a spese, con il rischio, tollerabile, di non lasciare nulla ai propri figli.
03 Farsi il mazzo per anni e anni, andare in perdita, chiedere qualche prestito in banca fino a diventare abbastanza grandi da essere assorbiti da un gruppo editoriale che controlla o partecipa all'azionariato di un distributore: insomma vivere abbastanza a lungo da diventare i cattivi. Il rischio è quello di finire a pubblicare roba dozzinale per ingrossare il volume del gruppo.
04 Aspettare il bestseller lungo il fiume, mentre guardiamo andare a rotoli la nostra vita.
05 Stracciare il contratto con il distributore e tirare fuori l'elenco delle librerie indipendenti, tentando di stipulare un accordo diretto con loro, che accetteranno solo se si tratta di un conto deposito almeno al 40% di sconto (che rispetto al 68% è già tollerabile) con spese di spedizione a carico dell'editore. Il problema è che, così facendo, il mercato si restringe notevolmente, e stare dietro a tutti i conti deposito diventa un'impresa titanica, burocratica, fantozziana. Insomma si tratta di fare un altro mestiere.
06 Pur essendo piccoli editori, farsi gli amici giusti: operatori del mondo culturale in genere, organizzatori di festival, fiere, saloni, kermesse vari, redattori di riviste e giornali, direttori delle terze pagine che tirano. Fare quindi i libri ben visti, che non violentino il sistema ma lo accarezzino. Sopravvivere grazie all'amichettismo culturale.
07 Lamentarsi in tutti i modi. Piangere miseria presso tutti i funzionari del Mibact. Compilare bandi e bandicini alla ricerca dei fondi europei, regionali, municipali. Trattarsi come un panda.
08 Uscire fuori da tutto, dire addio al mondo.

In cosa consiste quest'ultima via, che è quella che abbiamo deciso di intraprendere con le edizioni GOG? La verità è che non lo sappiamo. Non sappiamo se è sostenibile, non abbiamo fatto bilanci né business plan, ma non vogliamo più comprometterci con questo sistema perverso a cui va imputato il collasso del mercato editoriale, un collasso che forse non è ancora evidente - almeno per alcuni editori, specie i grandissimi, che hanno le spalle larghe per reggere il gioco - in termini economici (benché le librerie chiudano una dopo l'altra), ma sicuramente in termini qualitativi. L'offerta sempre più scadente e omologata, il turnover incessante di libri a obsolescenza rapida che sconvolgono settimanalmente le librerie, la trasformazione delle catene in hard discount della cultura, la ghettizzazione dei piccoli editori. Perché pagare un prezzo così alto per partecipare a questo gioco al ribasso?

Ogni casa editrice ha una sua vocazione, quindi un suo destino. E GOG è figlia del caos e di un capitale iniziale di due spicci, perciò non può sopravvivere nella catena di montaggio dell'editoria contemporanea, tutta codici a barre, procedure macchinose, scadenze, schede, scaffali, generi, conti deposito, resi. Il nostro destino non è far libri che ingrassino l'offerta delle librerie di catena in catene, o quella di Amazon&compagnia, che non fanno distinguo tra un libro e una tazza. Noi ci vergogniamo a stare in certe librerie, accanto a certi libri. E non c'è niente di male a dire questo, perché si tratta di rispettare il proprio lavoro. Non si sputa sangue su certe pagine, non si cercano autori come allucinazioni, non si passano notti insonni su una frase per poi metterla nelle mani di promotori ignoranti, sotto il torchio di una distribuzione anonima che detta scadenze folli e chiede percentuali immonde e che ogni giorno scarica quintali di libri spazzatura in librerie sovraccariche di novità, novità che non hanno neanche il merito di vendere, ma solo quello di gonfiare una bolla che è già esplosa, e forse tutti si sono turati le orecchie per non sentirne il rumore. Noi non ci stiamo, ci tiriamo fuori. I nostri libri non sono prodotti, non sono articoli regalo, non stanno bene nei supermarket della cultura, accanto ai libri che si fanno oggi, i libri carini, libri-pantofola, libri-tisana, fotina sull'insta, lettura orizzontale, pennichella, scaldacuore. Noi non sapremo neanche in che scaffale collocarli in nostri libri, se in musica, poesia, saggistica, forse in cucina, non ci sono categorie in GOG, non ci sono scaffali, i libri non li scegli, ti scelgono loro, ti guardano in faccia, ti scuoiano dentro.

Perciò addio al mondo, alle librerie, ad Amazon. Da oggi i libri GOG non avranno neanche l'ISBN. Perché noi non vogliamo piegare la gioia di fare libri, anche impossibili, anche invendibili, anche improbabili (chissà che lo siano oggi ma non domani), alle urgenze del mercato, della logistica con la sua logica illogica. Da adesso, quindi, i nostri libri si troveranno innanzitutto sul nostro sito. Oppure ai nostri eventi e a tutti gli incontri che organizzeremo. E infine in tutte quelle librerie, indipendenti, che saranno disposte a credere fino in fondo nel nostro catalogo e saranno interessate ad acquistare il nostro catalogo direttamente, senza conti deposito. Per noi uscire dalla distribuzione vuol dire lanciare un segnale, chiamare a raccolta tutti gli altri editori, da quelli che si stanno dissanguando economicamente a quelli che si stanno umiliando culturalmente, per partecipare a questo meccanismo suicida che viene spacciato per il solo metodo che ha l'editoria di sopravvivere. Noi vorremmo dimostrare che altre strade sono percorribili, che fuori c'è un mondo da reinventare, che bisogna disintermediare al massimo questo sistema, vittima di una logistica che, come ogni forma di organizzazione, sostituisce lo scopo per cui è stata pensata (quello di fornire un servizio ottimale agli editori) con il fine di efficientare se stessa e di sopravvivere. L'editoria non può morire di logistica. Almeno su questo punto speriamo che il nostro minuscolo e insignificante gesto possa aprire un qualche dibattito, magari meno insignificante.