«E va bene: siamo due Nazioni». John Dos Passos
L’America rurale e quella metropolitana, l’America che guarda alla wilderness e quella rivolta verso l’Europa, l’America populista e quella della finanza internazionale: due idee, due visioni tornate inesorabilmente alla ribalta con la controversa presidenza Trump, in una società mai apparsa così divisa e lacerata. America contro America è la storia del conflitto tra le due anime di un Paese ribelle per vocazione e giovane per anagrafe, da sempre sospettoso nei confronti di ogni intellettualismo, più a suo agio con la praticità che con l’eleganza, eppure riuscito a imporre il proprio stile di vita a livello globale. Come ha fatto questa nazione che voleva «vendere macchine da cucire» (Malraux) e abitare la “casa nella prateria” a dismettere i panni del cowboy solitario per proporsi a guida del mondo occidentale in campo artistico e politico? All’apparenza simile alla parabola di Forrest Gump, l’ascesa degli Stati Uniti sul piano internazionale coincide invero con la rifondazione della propria immagine, avvenuta gradualmente ma esplosa solo nel Secondo dopoguerra. È a New York, grazie al lavoro di alcune istituzioni artistiche e di una élite politico-culturale alle prese con la Guerra fredda, che si costruisce il mito di un’America moderna, sofisticata e cosmopolita, patria della libertà espressiva, che individua in Frank Lloyd Wright e Jackson Pollock i suoi perfetti vessilli artistici e nell’astrattismo il genere pittorico più appropriato. Un’operazione che porta con sé la messa al bando non solo del selvaggio west ma anche di quel realismo che troverà poi in Andy Warhol il suo esponente più osteggiato e insieme più osannato. Questo saggio restituisce, e risarcisce, tutta la complessità di questa trasformazione, ripercorrendo la vita e il pensiero degli uomini e delle donne che vi hanno preso parte, in un continuo gioco di rimandi tra architettura, arte, cinematografia. Lontano dagli schemi storiografici correnti, Giannelli racconta il travagliato passaggio all’età adulta di un Paese che si è voluto – e che noi europei abbiamo creduto – diverso da se stesso ma che in cuor suo non ha mai abbandonato la rude semplicità della frontiera, fino a rimpiangere, oggi forse più che mai, di «non essere saggio come il giorno in cui venne alla luce» (Thoreau).