Anche se per il momento adotta il linguaggio seducente dell’efficienza, della flessibilità e della sostenibilità, la smart city non esprime altro che quella tendenza all’autoritarismo e al controllo sugli altri esseri umani che rifiorisce, con vesti sempre nuove, nella storia dell’umanità.
Cavi, reti, server, flussi di dati, traffico di utenti. Le città stanno diventando metapiattaforme dove ogni interazione tra cittadini, ma anche ogni rapporto con le istituzioni, è mediato da macchine, da un enorme arsenale di tecnologie di riconoscimento, sorveglianza e ottimizzazione dell’efficienza. Come sarà la vita nelle Città Cyborg del futuro? Adam Greenfield, ricercatore e urbanista americano, studiando i progetti più invasivi di Smart City, ci racconta cosa si nasconde dietro l’apparente utopia delle città intelligenti, un nuovo modello architettonico, burocratico e urbanistico che vuole incorporare alla città le strutture e i servizi digitali messi a disposizione dai giganti dell’high tech, a partire da IBM, Cisco Systems, Microsoft. Con la complicità di molte amministrazioni comunali, ormai incapaci di gestire la complessità delle metropoli (dai dissesti infrastrutturali ai problemi demografici e sociali), le nostre città si arrendono per inerzia al sogno dei nuovi ingegneri-programmatori, alla retorica della connettività, trascurando le oscure conseguenze di questa ibridazione. Dall’installazione di sistemi di sorveglianza reticolari e di riconoscimento biometrico facciale, alla georeferenziazione dei consumi e la geolocalizzazione degli utenti: la Smart City è un dispositivo di potere, una nuova forma di autocrazia, calata dall’alto e basata sulla pianificazione integrale dell’esistenza cittadina, opacizzando il confine tra sicurezza e controllo, tra pubblico e privato, tra comodità e sottomissione.