«Illusione è il credere che di fronte alla classe dominante stia, al presente, il popolo; sta, ed è cosa ben diversa, una nuova e futura aristocrazia, che si appoggia sul popolo»
La teoria delle élite, di cui Mosca, Pareto, Michels e Gramsci sono stati i primi e principali esponenti, si fonda su un assunto preciso: ogni società, in ogni tempo, indipendentemente dalla forma di governo che ha adottato, è sempre organizzata verticalmente. All’apice una minoranza organizzata che detiene il potere, e alla base una maggioranza disorganizzata che accetta le modalità di questa supremazia in cambio di certezze concrete o simboliche. Se la concezione materialistica di Marx e Engels interpretava la dialettica storica alla luce di un susseguirsi di lotte di classe tra oppressi e oppressori, per gli élitisti la storia è un «cimitero di aristocrazie», teatro di conflitti tra le sole minoranze, in particolare tra l’élite di governo e una nuova élite antagonista, forte di propositi rivoluzionari e propensa all’innovazione, o mossa da un semplice senso di risentimento e di rivalsa nei confronti dei privilegi accumulati dall’oligarchia rivale, ma che ambisce a diventare la nuova classe dominante, servendosi del popolo. Che rapporto sussiste tra élite e masse? Cosa determina l’ascesa di un’élite rispetto a un’altra? Su quali principi si basano i meccanismi di circolazione delle minoranze? Cosa le rende legittime nell’esercizio del potere? Questa breve antologia di testi, oltre a ricordarci gli irrisolti problemi della teoria democratica, ci fornisce delle coordinate essenziali per interpretare tutti i passaggi d’epoca del passato, e per orientarci in quelli del presente, mentre assistiamo alla crisi di legittimità delle democrazie occidentali, dove la complessità sociale ha moltiplicato i centri di potere, dando vita a una poliarchia di élite che svolgono funzioni sempre meno «dirigenti» e sempre più «dominanti», molto abili nello sfruttare lo spauracchio della crisi permanente per ostacolare l’insorgere di una nuova minoranza attiva, realmente rivoluzionaria, con nuove capacità e visioni, sulla scena politica. È in questo interregno, suggerisce Gramsci, quando il vecchio non muore e il nuovo non nasce, che compaiono i mostri. Mostri mansueti, inoffensivi, spesso addomesticabili, ci verrebbe da dire, guardandoci intorno.