In una Napoli barocca e pulp, metafisica e puttana, si svolgono le vicende di Rosalinda Sprint – femminiello partenopeo di angelica impudicizia – eroicamente, ingenuamente a caccia d’amore nei bassifondi dell’animo umano. Insieme a lei, a esaudire le depravazioni cittadine, le sue compagne di strada e di vita, dagli improbabili e altisonanti soprannomi, sempre pronte a dispensare i loro peccaminosi consigli: Marlene Dietrich, Faccemmerda, Mariacallas, Rossicago, Maria Stuarda. È tra queste sagome umane, pittoresche epifanie dai contorni sbiaditi, tra le lenzuola ingiallite e le “architetture di escrementi che esaltano le basi dei rossi palazzi reali”, tra le grandi vie di Toledo e le strette di Montecalvario, che si svolge la favola sconcia di Rosalinda Sprint, tutta esuberanza, isterismo, caos e fame di vita, sangue e merda, pronta a soffrire qualsiasi umiliazione della carne e del cuore, fino a inseguire il suo amore impossibile sulle “bianche scogliere di Dover”, a Sud dell’Inghilterra, nel tentativo disperato di trovare una qualche redenzione. In questo romanzo di Patroni Griffi, dove a essere Sprint, oltre a Rosalinda, è soprattutto una scrittura nevrotica, ritmata da una punteggiatura che segue i battiti cardiaci convulsi della protagonista, i confini tra trasgressione e innocenza si impastano, forse anche grazie al dinamismo ancestrale di una città vocata a questo tipo di alchimie, non conoscendo la differenza tra santi e peccatori.