«Eravamo e siamo tuttora per loro dei sanguinari con gli occhi a mandorla venuti dal nord-est, i discendenti delle orde mongole, dei curki, anche se, in realtà, siamo più “bianchi” di tutti loro: gli europei del Sud provenienti dalla Spagna e dall’Italia sembrano arabi in confronto a noi, mentre le nostre ragazze sono l’immagine identica spiccicata delle ariane dagli occhi verdi cantate nelle fiabe».
Ideario di un figlio di puttana
Cosa ricorderemo di Eduard Limonov negli anni a venire? Di certo nulla di ciò che potremmo raccontare di lui sarà mai all’altezza della sua personale mitomania. Limonov però è stato, in primo luogo, un grandissimo figlio di puttana. Insofferente a qualsiasi forma di autorità, ma anche alla ribellione a rischio zero degli intellettuali borghesi, Limonov riusciva ad essere sempre altrove, a battersi per la posizione più scomoda e insostenibile di tutte, in un continuo e metodico autosabotaggio. Quando ai poeti russi s’intimava di tessere le lodi dell’URSS Limonov vomitava versi di insurrezione. Quando l’Occidente elogiava i dissidenti sovietici, lui era subito pronto a condannarli come abili promotori di se stessi e della propria casta. Rifugiatosi negli Usa, invece di frequentare i salotti spalancati per gli esotici contestatori del regime, Edichka batteva le strade gelide di Manhattan, scaldandosi con vodka da vasca da bagno e corpi negri, possenti e dimenticati. Se il bel mondo occidentale s’inorgogliva per la Perestrojka di Gorbacëv, Limonov cantava la Russia orientale, mongola, arida di terra ma fertile di spirito. Se le potenze atlantiche inorridivano davanti agli orrori di Milosevic e delle fosse comuni, Limonov lasciava la bella vita parigina per seguire le Tigri di Arkan. Se il nuovo millennio si scrollava di dosso le ideologie superate del Novecento, per inaugurare l’epoca dell’eterna ripetizione del consumo, il nostro figlio di puttana fondava il Partito Nazional-Bolscevico, ibrida ed estremissima sintesi del meglio e del peggio del nazismo e dello stalinismo. E mentre l’Occidente si faceva abbindolare dalle promesse di pace e integrazione di Valdimir Putin, Limonov, sempre all’erta, sempre contro, sacrificava la propria libertà per denunciarne la falsità, la piccolezza, l’ingordigia, mettendosi sullo stesso piano di figure come Anna Politkovskaya, e ridicolizzando al tempo stesso l’ingerenza straniera nel nazionalismo confuso di Alexej Naval’nyj. Da tutte queste esperienze, oltre alle decine di libri, ossessivamente autobiografici, nascevano anche centinaia di articoli, persi per gli archivi e le riviste d’opposizione russa. Giannicola Saldutti ne ha qui raccolto e tradotto i più emblematici, i quali, accuratamente selezionati, vanno a comporre la mitologia di un pensiero e di una vita inclassificabili: l’ideario di un figlio di puttana.
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